Partecipo per la prima volta al lunedì film, e lo faccio con questo Anime Nere.
Non è un genere che io avrei mai scelto di vedere volontariamente, e se fossi stata a casa col telecomando in mano avrei cambiato canale...ma mi è capitato di vederlo ad un cineforum, dove non potevo cambiare e non ho ritenuto opportuno uscire, quindi me lo sono visto tutto fino alla fine.
Non è proprio una presentazione accattivante la mia, ne sono consapevole, ma ho deciso comunque di parlarne perché mi ha fatto riflettere.
L'argomento è la ndrangheta, e i protagonisti sono una famiglia composta da tre fratelli: il maggiore, Luciano, che vive in Calabria, Rocco vive a Milano e rappresenta il "braccio pulito" della famiglia, Luigi si occupa di spaccio a livello internazionale. Auto di lusso, bella vita e una totale mancanza di regole.
Il figlio del fratello maggiore, Leo, prende come modello ed esempio lo zio Luigi, fare il pastore è troppo faticoso, ed inizierà con un dispetto al clan rivale una spirale di violenza che farà finire il tutto molto male.
I personaggi parlano in calabrese e tutto il film è sottotitolato (per fortuna).
Non si riesce, o meglio, io non sono riuscita ad identificarmi con nessuno dei protagonisti, e questo perché la mentalità che sta dietro a queste azioni mi è completamente estranea e sconosciuta.
L'unico personaggio col quale è possibile identificarsi è la moglie di Rocco, una milanese, che anche lei non capisce. Tuttavia sa benissimo chi è suo marito e che la sua casa di lusso è frutto di denaro sporco.
Le altre donne di famiglia non tollerano la moglie di Rocco, ma il loro ruolo è totalmente ininfluente.
Anche la legge, o lo stato, è totalmente assente, si vedono dei carabinieri ma hanno un ruolo marginale, sono addirittura sfuocati. Non è certo a loro che si rivolgono i normali cittadini se hanno bisogno di aiuto, ma vanno invece da chi ritengono che possa garantire loro più protezione.
Forse in questo film manca un elemento essenziale, manca la controparte, non c'è una contrapposizione bene-male e quindi non si può tifare...manca la speranza. Che sia stato proprio questo l'intento dell'autore?
I film sulla mafia, ho notato, finiscono sempre malissimo e riescono a deprimere assai lo spettatore. Magari tutto ciò è molto realistico, tuttavia ho sempre pensato che i film di denuncia dovrebbero contenere almeno un piccolo germe di speranza - e insomma, come te, quando posso li scanso.
RispondiElimina@murasaki: appunto. La questione è proprio se si tratta di denuncia o di una semplice constatazione di uno stato di cose che non può essere cambiato, e pertanto viene accettato...e chi non lo capisce è un po' tonto. Ecco, io mi sento tonta.
RispondiEliminafilm durissimo. io invece credo che proprio il principio di impersonalità secondo cui è girato sia la chiave della denuncia.
RispondiElimina@noise: questo è sicuro. Penso sia frutto di una scelta e che il regista sia molto bravo, quello che mi chiedo è se ottiene lo scopo.
RispondiEliminaSe si vuole scioccare, missione compiuta. Se si vuole denunciare, non so.
Io non mi sento tonta, io SONO tonta e con la mia tontaggine ho ormai imparato a convivere. Sono comunque consapevole che esiste tutta una retorica (molto di moda in Italia) sullo stato di cose che non può essere cambiato, e anche sull'arte di pallificare lo spettatore. Lo stato di cose che non può essere cambiato è un alibi eccellente, tra l'altro. Comunque il film di cui si parla non l'ho visto (né mai lo vedrò, se appena posso evitarlo, dopo cotal descrizione).
RispondiElimina@murasaki: ma no, dai, se ti capita guardalo. Per lo meno non fare la scelta solo in base alla mia descrizione. Per il resto: amen! Alibi che sento spesso.
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