domenica 22 gennaio 2012

Tolleranza a chi?

Insegno in una scuola dove gli immigrati sono moltissimi, in alcune classi il 50%, ho avuto classi dove erano il 90%, comunque mediamente  la percentuale è considerevole.
Naturalmente ognuno di loro è una storia a parte, ragazzini arrivati a 11 o 12 anni e catapultati in prima media senza nessuna conoscenza della lingua, oppure inseriti alle elementari e quindi che si barcamenano, altri che hanno fatto tutte le scuole qui o addirittura sono nati qui. 
Poi ci sono quelli che hanno voglia di imparare e quelli che considerano la scuola un parcheggio, esattamente come i "colleghi" locali.
Quando qualche tempo fa è scoppiata la polemica del crocifisso sì o crocifisso no in classe in tutta Italia, da noi non c'è stata proprio nessuna discussione, nessun musulmano si è sentito minimamente minacciato da quella statuetta che fa talmente parte dell'arredamento che si fa fatica a notare (personalmente non mi accorgo neanche se c'è o non c'è, essendo non osservante).
I problemi sono altri, e non me la sento di negarli o fare finta che non esistano nel nome della tolleranza o di chissà cos'altro.
In Prima la collega di Storia a questo punto dell'anno parla dell'Impero Romano ed è arrivata al capitolo su Costantino e Teodosio, che hanno introdotto la religione cattolica. E' un dato di fatto, è storia e non c'è nessuna dietrologia o tentativo di indottrinamento, eppure Youssef, un ragazzino di 11 anni che è in Italia da quando non sapeva ancora parlare, dichiara che lui si rifiuta di studiare quel capitolo, e rimane imbronciato e con lo sguardo carico d'odio per tutta la lezione...
In Seconda Mohammed, un ragazzino che non ha mai creato particolari problemi, è arrivato da pochi anni ma ha fatto grandi progressi e ha voglia di imparare, dichiara un bel giorno che lui da grande farà l'Imam, e espone le sue teorie come verità universali, compresa l'inferiorità della donna e la necessità di convertire tutto il mondo all'Islam, con le buone o con le cattive...
In Terza si parla della Shoah, e Aisha sostiene che i tedeschi "hanno fatto bene". All'incontro con una sopravvissuta ai campi di sterminio organizzato dalla scuola si rifiuta di partecipare e quando, sempre per la giornata della memoria si propongono film sull'olocausto, lei sta tutto il tempo con la testa bassa rifiutandosi di guardare...
E noi lì, a cercare di spiegare, a mediare, a insegnare ai nostri figli che bisogna rispettare tutti, accogliere, essere tolleranti ed empatizzare. Ma, dall'altra parte, che tipo di insegnamenti ricevono questi bambini? A me sembra che non ci sia nessuno sforzo di integrazione o comprensione.
Certo messa così, rischi di venire considerata una razzista, non bisogna mettersi sullo stesso piano di coloro che sbagliano, tu devi essere superiore, devi comprendere, in fondo sei un'insegnante, un'educatore, un modello.... ma allora, ancora una volta, se dici così dichiari la tua superiorità, pensi di essere meglio di loro. 


Dichiaro di non essere capace di venirne fuori, dichiaro la mia inferiorità... soprattutto quando vedo lo sguardo di alcuni padri che vengono a parlare e palesemente stanno pensando "ma cosa vuole questa donna?", oppure lo sguardo delle madri, velate, sottomesse, che pensano "questo non lo dico a mio marito altrimenti sono botte".

8 commenti:

  1. Bisognerebbe capire che cosa ne pensano le famiglie, ma, soprattutto (e, questo va detto, è uno dei limiti del culto agiografico della memoria che sta passando nella scuola italiana) iniziare a comprendere, nella scuola, che celebrare la memoria vuol dire fare il percorso inverso, induttivo, dal presente, e non deduttivo celebrativo dal passato. Instaurare cioè partendo dal dato di fatto empirico della situazione data (in questo caso: razzismo in classe da parte degli alunni e delle famiglie immigrate) la proporzione: Hitler: ebrei = Persecutori di oggi : x. E da qui far comprendere a tutti (anche a noi stessi) che è molto facile dire che Hitler era il catti-cattivissimo, più difficile è applicare questa cosa nell'attualità dei nostri oggi, nel nostro contesto spicciolo, nel quale siamo così immersi da non capire se siamo mai, a nostra volta, vittime o carnefici (partire e lavorare sulla zona grigia di Levi, insomma).
    Noi per questo, in seconda, facciamo ogni anno il viaggio in Appennino, là dove c'è una casa di pace che su questo: educazione a una cultura della pace e gestione dei conflitti nei singoli contesti, ci lavora. Se vuoi scrivermi in pvt ti posso dare tutti i dati, ti assicuro che è davvero all'avanguardia (è presidio Unesco per i metodi che usa), e funziona!

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    1. Quello che traspare a scuola è il risultato di quello che sentono a casa, questo è ovvio. Infatti gli albanesi che sono musulmani ma, avendo avuto anche il comunismo, sono molto tiepidi sui temi religiosi, si limitano a non fare religione cattolica. Ma per il resto sono molto più aperti ad un discorso di integrazione.
      Più che la questione olocausto però, a me fa specie l'atteggiamento intransigente in generale. Cioè non studiare Teodosio perché è quello che ha fatto del cattolicesimo la religione ufficiale dell'Impero, oppure l'atteggiamento verso la donna

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  2. tralascio la questione del giorno della memoria su cui ha ben detto 'povna.
    quelli di cui parli sono argomenti delicatissimi ma fondamentali quando si parla di tolleranza e integrazione e la scuola è il laboratorio primario in cui esse posson nascere. la difficoltà sta nel fatto che molte di queste famiglie sono ignoranti nel vero senso della parola e il muro dell'ignoranza è il primo da abbattere.
    in una scuola in cui ho fatto supplenze, millemila anni fa, si organizzavano corsi di italiano per le madri degli alunni(quelle che normalmente non verrebbero fatte uscire di casa, ma in quel caso andavano a scuola, erano tutte donne e si assicurava un'insegnante donna). naturalmente, coi tagli, sai dove sono andati a finire, quei corsi?

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    1. Hai ragione, l'ignoranza è sicuramente parte del problema, ed io sinceramente esprimo quello che sento essere un'inadeguatezza da parte mia. La prima reazione istintiva (e forse umana) è "se la pensi così arrangiati", anche se poi sappiamo benissimo che muro contro muro non ha mai risolto niente. In realtà il mio è un disagio più per la mia reazione che per la loro.

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  3. La questione è complessa, ogni maestra che ha affrontato le polemiche con i Testimoni di Geova davanti alla prospettiva di fare una recita per Natale (o anche semplicemente di parlarne) lo sa.
    Io non mi ci sono ancora trovata. Quando ho avuto qualche alunno islamico (...o cattolico) che trovava da ridire ho sempre fatto alta e aperta professione di ateismo e risposto punto per punto alle provocazioni trattando i singoli sistemi religiosi come sistemi logici da smontare e rimontare e insistendo sul relativismo. Finora, mi è bastato far questo, e più avanti si vedrà. La storia è sempre una materia assai spinosa, però i momenti più spinosi sono anche quelli in cui i ragazzi discutono più volentieri e se l'insegnante dispone di adeguati mezzi corazzati di protezione puà essere anche divertente. Quando mi troverò davanti il negazionista (e prima o poi me lo troverò, immagino) ... allora si vedrà, sperando in dio.

    Ti infilo però due considerazioni. Primo: quando a Firenze si cominciarono a vedere alunni (e immigrati islamici) così, dopo poco saltò fuori che c'era una moschea con un iman che stava tirando su una bella cellula di terroristi, e finì con un gruppo di arresti: non era (solo) fanatismo, era qualcosa di peggio, e forse ci sta che qualcosa del genere ci sia adesso anche nella tua città, e magari sarebbe il caso di provare a indagare.
    Secondo: il carattere dei commenti, almeno per me, è piuttosto faticoso da leggere. Magari sono l'unica che ha questo problema, non so.

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    1. Il dubbio che ci sia qualcuno di fanatico che li istruisce l'ho avuto anche io perché il ragazzino in questione ha avuto un cambiamento radicale di pensiero nel giro di pochissimo tempo.

      Effettivamente il corsivo è bello ma alcune lettere sono poco leggibili... continuo a fare prove finché trovo il "carattere perfetto"

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  4. A me capita spesso di fare esempi legati alle cosiddette radici cristiane, perché, c'è poco da fare, ci sono moltissimi modi di dire che, se chiedono di esere spiegati, affondano nel substrato cattolio o cristiano.
    Mi è anche capitato di dire: "mi scuso con i musulmani se faccio questi esempi..." e uno di loro mi ha chiesto il perché, e io l'ho spiegato dicendo che se viviamo in una cultura che ha 8volenti o nolenti) radici cristiane, è inevitabile che prima o poi si tocchi qualcosa che da lì prende origine (sia anche soltanto un modo di dire). E lui mi ha chiesto perché no chiedevo scusa ai cattolici quando facevo altri esempi, ed è partito da lì tutto un ragionamento sulla tolleranza, l'Illuminismo e così via.
    Questo ha capito e accettato, ma un altro, un bravo ragazzino studioso e sempre ben preparato, quest'anno si avvia all'integralismo netto e preciso, e si nota (legge il Corano nell'ora di musica, non studia più storia, ma nemmeno grammatica, e così via). Tanto, dice, dopo gli esami tornerà nel suo paese e ciao Italia (parla benissimo italiano, è qui da sempre, ha sempre avuto buoni risultati a scuola, ma ora ha in mente soltanto la sua 'arabità').
    Comunque, l'ultima volta gli abbiamo risposto: dopo gli esami? Bisogna vedere se ci arrivi, agli esami...
    E' rimasto un po' scosso, e la volta dopo si è fatto interrogare.
    Mah.

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    1. A volte trovi la chiave per aprirgli il cervello (e questo ragionamento vale per tutti, non per gli stranieri in particolare) e farli ragionare... è una bella sensazione. Altre volte è solo una sconfitta. L'importante è non darsi per vinti e provarci sempre

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